venerdì 18 settembre 2015

Malattia professionale


Un mio conoscente che ha sempre lavorato   in un patronato sindacale, si occupava di malattie professionali.Ora in pensione ha la passione per gli scacchi.
Essendo curioso, gli ho chiesto di illustrami a grandi linee, in cosa consisteva il suo lavoro. Ecco la sua risposta:
“La legge prevede che per vedersi riconoscere una malattia professionale, debba esistere un <nesso causale> tra il rischio lavorativo cui è stato esposto il lavoratore e la malattia denunciata. 
Il lavoratore si presenta al nostro patronato che istruisce la pratica.
Il lavoratore è visitato da un medico presso la sede del nostro patronato. Il medico se ritiene sussistenti le condizioni necessarie, presenta denuncia all’INAIL territoriale.
L’INAIL territoriale sottopone a una prima visita medica il lavoratore, a seguito della quale: Accoglimento o respingimento della domanda.
Il lavoratore al quale è stata respinta la domanda, viene nuovamente visitato presso il patronato. Il medico che lo ha visitato, in presenza delle condizioni necessarie,  presenta ricorso all’INAIL.
Segue seconda visita medica all’INAIL: Accoglimento o respingimento della domanda.
Nel caso “frequente” di respingimento, il lavoratore tramite il Patronato, fa causa all’INAIL: La causa la paga il patronato.
Qualora il lavoratore vinca la causa contro l’INAIL, potrà fare una seconda causa al datore di lavoro per vedersi riconoscere il danno residuale”.
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Una sola  considerazione: In una Repubblica fondata sul lavoro, non sarebbe possibile adottare una procedura più snella e meno farraginosa?
Un lavoratore per vedersi riconoscere la “malattia professionale” deve fare un simile percorso ad ostacoli?

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